Nel corso dell’assemblea annuale promossa nei giorni scorsi a Roma dal Coordinamento delle scuole dell’infanzia costituito dai sindacati scuola più rappresentativi e dalle associazioni di categoria del settore è stato sottolineato il ritardo dell’Italia nell’assicurare una espansione del servizio educativo per la prima infanzia (nidi, in particolare) che consenta di raggiungere per il 2020 il traguardo fissato dall’Unione europea del 33% di bambini accolti.
Attualmente la percentuale di bambini dell’età di 0-2 anni che frequentano nidi pubblici, convenzionati o privati, secondo stime non confermate, è tra il 16% e il 17%, cioè a metà strada dell’obiettivo europeo del 2020. L’Istat nel 2009 riportava percentuali molto più basse, intorno al 12%.
Ma la situazione italiana è molto differenziata tra i territori, con una forte depressione di servizi al sud e una discreta condizione al Nord, dove, ad esempio in Emilia-Romagna, si arriva già al 30% di bambini accolti (il Comune di Reggio Emilia è al 42%).
Come si sa, la competenza ad organizzare servizi per la primissima infanzia è dei Comuni, che impegnano in proposito specifiche spese. Dai conti consuntivi dei Comuni italiani per il 2009 si ha la mappa di questi impegni per gli asili-nido; una mappa che spiega abbastanza bene il divario esistente e la difficoltà di costruire con buone speranze l’obiettivo del 33% fissato dall’Unione (e sottoscritto a Barcellona nel 2002 anche dal nostro Paese).
I Comuni dell’Emilia-Romagna hanno impegnato in asili nido nel 2009 il 6,15% dei loro bilanci; quelli del Lazio il 5,38% e quelli della Lombardia il 5,29%. Ma i Comuni della Campania hanno impegnato soltanto l’1,68% delle loro spese in asili nido e la Calabria lo 0,40%.
06/06/2011
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