domenica 23 gennaio 2011

Un po’ di cifre sull’uso fondi per il finanziamento ordinario delle scuole

8 euro l’anno per bambino è uno spreco?

Spulciando tra le circolari e i documenti in sala professori, prima di Natale gli insegnanti potevano leggere la lettera aperta inviata dal segretario generale della FLC CGIL, Domenico Pantaleo, sul ripristino dei fondi per il finanziamento ordinario delle scuole: 120 milioni di euro, che il MIUR si è impegnato a erogare per il funzionamento didattico e amministrativo dell’anno scolastico in corso.
Perché un ripristino? Ripercorriamo brevemente la storia.
Con il D. M. n. 21 del 1 marzo 2007, l’allora ministro Fioroni decretava l’assegnazione di una dotazione finanziaria annuale alle istituzioni scolastiche statali autonome, indicandone criteri e parametri in apposite tabelle allegate. Tuttavia negli ultimi due anni, il 2008/9 e il 2009/10, i fondi per il funzionamento didattico e amministrativo alle scuole statali non sono mai arrivati, coerentemente con il taglio di circa otto miliardi di euro decretato dal governo Berlusconi con la legge 133 del 2008, in corso di realizzazione attraverso il triennale piano programmatico attuativo.
Come è potuto accadere che un capitolo di spesa specificamente indicato in un decreto ministeriale in vigore sia sparito per due anni dai bilanci delle scuole?
E’ semplice. Nei programmi annuali compilati dal Ministero per ogni istituto si assegnavano budget complessivi piuttosto generici, da cui, tolti i pagamenti per i supplenti, i compensi per i commissari degli esami di Stato, la quota del fondo d’istituto e i contributi previdenziali ed erariali, per il funzionamento didattico e amministrativo non restava più nulla.
E mentre, di fatto, si cancellavano quei fondi, con le stesse circolari che fornivano le indicazioni operative sulla predisposizione dei programmi annuali (datate 14/12/2008 e 22/2/2010), il MIUR invitava le istituzioni scolastiche, cioè i dirigenti che firmano il bilancio, ad inserire i residui attivi nell’aggregato “Z – Disponibilità da programmare”, costringendoli dunque di fatto a rinunciare anche al recupero dei crediti pregressi che tutte le scuole d’Italia vantano nei confronti dell’amministrazione centrale e che ammontano oggi a circa 1,3 miliardi di euro.
Soldi, per inciso, già spesi dalle scuole con legittimi anticipi di cassa, ovvero con prelievi fatti dai fondi non vincolati, in teoria destinati all’ampliamento dell’offerta formativa, all’innovazione o alla messa in sicurezza delle scuole. Uno fra tutti, il contributo volontario delle famiglie, quell’erogazione liberale privata voluta da Pierluigi Bersani nel 2007 che attualmente è considerata una specie di manna da chi deve pagare prestazioni indispensabili per garantire la sopravvivenza della scuola pubblica.
Oggi, lo sforzo congiunto di sindacati e movimenti, insieme alla resistenza passiva di tanti dirigenti che hanno ignorato i fantasiosi suggerimenti contabili del ministero, garantiscono il ripristino di questo specifico finanziamento.
Si tratta di 120 milioni di euro, così calcolati: 8 euro l’anno per coprire le spese amministrative e didattiche di ogni bambino delle scuole elementari e medie, 12 euro l’anno per ogni studente di liceo, 12 euro l’anno forfettari per ogni alunno diversamente abile, indipendentemente dall’età e dal tipo di scuola frequentata.
Con soli 8 euro complessivi una maestra deve fare tutte le fotocopie e acquistare tutti i materiali didattici che servono a un bambino in un anno, un ufficio di segreteria deve espletare tutte le sue pratiche, una scuola deve acquistare e manutenere le sue attrezzature per quel singolo bambino.
Con soli 12 euro l’anno la scuola deve provvedere al funzionamento amministrativo e didattico dell’istituzione per un alunno disabile.
Per le attività didattiche dei bambini con bisogni speciali, che vanno da forme lievi di disgrafia e dislessia a disturbi del comportamento o ai deficit dell’attenzione, e che sono in continuo aumento, nessun ministro dell’istruzione ha mai previsto finanziamenti di alcun tipo. Ça va sans dire, maestre e insegnanti comprano e pagano di tasca loro tutti i materiali che servono quotidianamente.
Di questi fatti e di queste cifre parliamo. E questa è solo una parte di ciò che per due anni ci è stato tolto e che ora viene ripristinato ma non restituito. Queste sono le cifre degli sprechi che giustificano i tagli draconiani nel comparto della pubblica amministrazione rappresentato dalla scuola, la cui incidenza negli investimenti del Pil è storicamente ben al di sotto della media europea. Oggi, ben al di sotto della soglia della dignità di un paese e della sopravvivenza di un’istituzione garantita dalla Costituzione.
E intanto continuano a essere inseriti, anche nella legge di stabilità che il Parlamento ha votato a dicembre, finanziamenti statali alle scuole private paritarie, finanziamenti che la Corte Costituzionale, con la sentenza del 27/2/2009, ha dichiarato illegittimi.
Anna Angelucci

Da www.aetnanet.org
14/01/2011

sabato 15 gennaio 2011

Tagli al tempo anche alle medie

Addio al tempo pieno nelle scuole
alle medie resiste una classe su cinque

Crollo dopo i tagli della Gelmini: in due anni la scuola media ha perso 14mila cattedre anche se cio sono 33mila alunni in più. E i genitori protestano. Lazio, Marche ed Emilia-Romagna le Regioni più colpite. Al top Basilicata, Sardegna e Calabria

Crolla il tempo prolungato alla scuola media. In meno di cinque anni, le classi che offrono mensa e lezioni pomeridiane ai ragazzini della secondaria di primo grado sono diminuite drasticamente. E addirittura quelle che offrono 37/40 ore settimanali si sono più che dimezzate. Del resto, il calo del tempo-scuola alla media era nell'aria. E adesso i dati lo confermano. "Il ministro Gelmini non ha abolito ufficialmente il tempo prolungato - spiega Angela Nava, del Coordinamento genitori democratici - ma con una serie di provvedimenti l'ha reso nei fatti sempre più faticoso. Dal 2008, non è possibile ampliare il numero totale delle classi a tempo prolungato - continua - e per attivarlo occorre formare un corso completo: prima, seconda e terza. La scuola, inoltre, deve essere in possesso di tutte le strutture adeguate: come la mensa. Quest'ultima condizione, con le pecche degli edifici scolastici italiani è quella più condizionante". E le famiglie? "Le famiglie continuano a chiedere il servizio scolastico pomeridiano che le scuole spesso possono offrire soltanto a pagamento. Negli ultimi anni - conclude Nava - si è registrato un fiorire di cooperative che all'interno delle stesse mura scolastiche offrono servizi scolastici pomeridiani a pagamento per le famiglie".
Bastava leggere attentamente il regolamento di riforma della scuola media per intuire come sarebbero andate le cose. "Le classi a tempo prolungato - recita infatti il decreto - sono autorizzate nei limiti della dotazione organica assegnata a ciascuna provincia (...) per un orario settimanale di 36 ore. In via eccezionale, può essere autorizzato un orario settimanale fino a 40 ore solo in presenza di una richiesta maggioritaria delle famiglie". E qualche passo dopo, precisa: "Le classi funzionanti a tempo prolungato sono ricondotte all'orario normale in mancanza di servizi e strutture idonei a consentire lo svolgimento obbligatorio di attività in fasce orarie pomeridiane e nella impossibilità di garantire il funzionamenti di un corso intero a tempo prolungato".
Un mix di vincoli quasi insormontabile per i presidi. Anche perché, in appena due anni scolastici (dal 2008/2009 al 2010/2011), nonostante il numero di alunni si sia incrementato di 33 mila unità, la scuola media è stata colpita da un taglio di quasi 14 mila cattedre. Operazione possibile soltanto alleggerendo i curricula e la permanenza a scuola degli studenti. Nel 2006/2007, quando a viale Trastevere sedeva Giuseppe Fioroni, le classi con orario pomeridiano sfioravano il 29 per cento. Ma già due anni dopo, con in sella Mariastella Gelmini, la percentuale scendeva di tre punti abbondanti per attestarsi ad un 21 per cento scarso quest'anno. A fare il pieno, tre regioni meridionali: Basilicata, Sardegna e Calabria (le più colpite sono invece Lazio, Marche ed Emilia). Ma in appena due bienni, la consistenza del Tempo prolungato si è contratta di 8 punti percentuali e 6.227 classi: oltre un quarto del totale.
A chiarire come andavano le cose qualche anno fa alla media ci pensa una pubblicazione del ministero. Nel 2006/2007, oltre metà delle classi (il 51 e mezzo per cento) rimaneva a scuola per un numero di ore variabile tra 31 e 33. Il 13 per cento delle classi fruiva di 34/36 ore di lezione a settimana e 6 classi su 100 rimanevano a scuola da 37 a 40 ore settimanali. Senza troppe ristrettezze agli organici, l'autonomia scolastica consentiva infatti alle scuole di declinare il tempo-scuola in relazione alle esigenze di studenti e famiglie. Nell'era Gelmini non è possibile spaziare troppo: due soli moduli-orario di 30 o 36 ore settimanali. E solo eccezionalmente 40.
(Salvo Intravaia)

Da www.repubblica.it
13/01/2011