La scuola che verrà
“Ho scritto questo libro perché sono stanco dei toni ansiogeni con cui viene raccontata la scuola multiculturale in Italia” – ci spiega Vinicio Ongini, autore di “Noi Domani”, ed esperto di intercultura presso l’Ufficio “Integrazione alunni stranieri” del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.
Sono 750.000 gli alunni con cittadinanza non italiana seduti sui banchi di scuola nell’anno scolastico 2011/2012. Sono l’8,5% sul totale della popolazione scolastica. Tanti? Pochi? Non è questo il punto.
Per quanto utili, questi numeri non ci rivelano granché, e anzi tendono a confonderci le idee, ad appiccicare su migliaia di alunni diversi una sola etichetta: ‘stranieri’.
Senza curarsi delle differenze tra i bambini appena arrivati, magari non italofoni, e i ragazzi di seconda generazione, i cosiddetti G2, che non sono mai “arrivati” in Italia, perché loro a Roma, Torino o Milano ci sono nati, e magari il Pakistan, la Romania o il Marocco non l’hanno mai visti.
Quando si parla di scuola multiculturale, distinguere diventa un esercizio fondamentale, e Ongini ce lo mostra chiaramente nel suo racconto-inchiesta che fa parlare maestre, genitori e alunni che vivono quotidianamente l’esperienza della scuola “di frontiera”, in aule che sono un crocevia di culture diverse ma prima di tutto di persone diverse, ciascuna con la sua storia e la sua voce.
E così, prese le distanze dalle statistiche ansiogene e forte della sua ventennale esperienza di insegnante, Ongini documenta le difficoltà e i successi di quel laboratorio di integrazione/interazione che è la scuola italiana.
Con una domanda che lo accompagna dalle Alpi alla Sicilia, come un leitmotiv del viaggio stesso: quali sono, se ci sono, i vantaggi della scuola multiculturale?
Subito scopriamo che di vantaggi ce ne sono moltissimi.
Nelle scuole della Val Maira, i figli degli immigrati ivoriani parlano perfettamente italiano e francese, e stanno contribuendo alla rinascita dell’occitano, lingua di minoranza delle valli piemontesi. Sono abituati a muoversi tra più lingue, un equilibrismo impensabile per molti italiani doc, che spesso arrivano nel mondo del lavoro parlando a malapena l’inglese.
Nei piccoli paesi della Val Padana, tra il Po e l’Oglio, i bambini indiani sikh insegnano ai nostri bambini una parola che forse in Italia vale poco, ma altrove è preziosa: “meritocrazia”. Prendono voti alti, studiano molto e non è assurdo pensare che il loro impegno costante e la loro attitudine alla scuola potrebbero portare nuova linfa ad un sistema corrotto e clientelare come quello italiano.
Lo stesso a Palermo, dove sono i figli degli immigrati a rispettare di più le regole della scuola, a lasciare le aule in ordine, ad avere maggiore cura per il materiale didattico comune. Con nostra sorpresa, le maestre ammettono che sono i siciliani i più difficili da gestire.
Sull’Appennino calabrese, alcune scuole semideserte da anni, in procinto di chiudere i battenti, hanno ricevuto nuovi stimoli dagli alunni curdi e afghani, giunti in Italia come rifugiati e accolti da queste piccole comunità montane che gli italiani hanno lasciato tempo fa, emigrando al Nord o all’estero.
E poi c’è la Toscana, dove qualcuno invece di imporre un “tetto” agli iscritti stranieri nelle classi, ha lavorato per costruire un “ponte” tra Italia e Cina.
Il cinese Pan Shili, pedagogista e maestro di matematica, ha avuto l’idea di mettere in contatto le scuole cinesi d’origine con le scuole italiane d’arrivo, unendo così due universi educativi ed affettivi profondamente diversi. Un progetto accolto con entusiasmo da entrambe le parti e che oggi, con l’aiuto della sinologa Maria Omodeo, è diventato una sorta di relazione diplomatico-didattica tra il Comune di Firenze e la provincia dello Zhejiang.
Infine, nel quartiere Esquilino di Roma, la dedizione e la sensibilità di un’associazione di genitori italiani e stranieri ha innescato un circolo virtuoso che ha portato alla riqualificazione dell’istituto comprensivo “Manin”. Una qualità fatta di cose concrete, come la gestione degli spazi comuni, la cura della scuola e del territorio che la circonda e gli incontri tra genitori, per conoscere le esigenze e le aspettative di ciascuno, al di là di generalizzazioni basate sulle provenienze.
Anziché sciorinare statistiche, ipotizzare rischi di invasioni straniere e auspicare la costruzione di tetti e barriere, “Noi Domani” ci fa scoprire una scuola ricca, colorata, carica di belle opportunità.
Gli alunni stranieri ci esortano a ripensare il nostro modello di ‘fare scuola’, ed è per questo che bisognerebbe guardare con maggiore curiosità e meno pregiudizi alla scuola multiculturale.
(Anna Bulzomi)
Da http://thetamarind.eu
03/12/2011
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